Conosciuta anche con il nome di Jujitsu o Jiujitsu, l’ “arte della flessibilità” è un’antica forma di combattimento a mani nude che nasce in Giappone nel periodo antecedente il primo Millennio e le proprie origini sono influenzate dai metodi della cultura marziale della vicina Cina, la quale ne influenza anche lo sviluppo.
Queste antiche forme di lotta sono conosciute col nome di Yawara, Wajutsu, Taijutsu, Torite e sono lontani parenti del Jujutsu che ad oggi è considerato come uno dei più efficaci e flessibili sistemi di arti marziali. Esso è associato a cadute, proiezioni, bloccaggi, sistemi di leva, attacchi ai centri nervosi, manipolazioni delle articolazioni e tecniche di colpi con gli arti inferiori e superiori nelle zone vitali dei corpo.
Stampa raffigurante una difesa a mani nude in armatura (Yoroi Kumiuchi)
Durante il periodo Kamakura (1185 – 1333) e i secoli successivi, il Jujutsu fu continuamente testato in battaglia e divenne uno strumento fondamentale per i bushi.
Inizialmente era progettato per sopraffare e annientare il nemico con tecniche che prevedevano l’utilizzo dell’armatura e veniva perciò indicato col termine Yoroi Kumiuchi. Nel corso di secoli caratterizzati da un costante stato di guerra, ci fu ampia possibilità di testare le varie tecniche e alla fine la loro efficacia fu decisa sulla base della sopravvivenza negli scontri.
Con la nascita dello shogunato Tokugawa e l’unificazione del Giappone agli inizi del 1600, le battaglie campali cessarono del tutto e venne meno anche l’esigenza di indossare le armature. Durante questi due secoli e mezzo di pace, il Jujutsu raggiunse il suo massimo splendore. Con la pace imposta dai Tokugawa ai feudatari, molti bushi, in precedenza impegnati a combattere nelle varie guerre che insanguinarono le province del Giappone, persero la loro occupazione principale e alcuni di essi misero a frutto la loro esperienza aprendo delle scuole e insegnando le conoscenze acquisite sui campi di battaglia: fiorirono così molte ryu di Jujutsu.
Il Jujutsu si sviluppò tecnicamente grazie alle intuizioni e alla genialità di questi maestri eccezionali, ognuno esponente di uno stile particolare, i quali fecero del Jujutsu una tra le più efficaci e temibili arti marziali.
Durante questo periodo, i commercianti e altri ceti di non-samurai cominciarono a imparare il Jujutsu e in virtù del fatto che solamente alla casta dei samurai fu permesso di portare legalmente armi, il Jujutsu divenne l’arte marziale per eccellenza del popolo.
Durante questo periodo l”arte della flessibilità” riuscì a raggiungere un pubblico così vasto come mai era successo in passato: le scuole più importanti si frazionarono e verso la fine del 18° secolo erano presenti sul territorio giapponese più di 160 stili di Jujutsu.
Le varie ryu (scuole) di jujutsu si specializzarono ognuna in differenti tecniche di combattimento: alcune approfondirono lo studio delle proiezioni mentre altre le leve articolari, alcune gli attacchi ed altre ancora il combattimento a terra. Esistevano centinaia di stili diversi e quasi altrettante teorie e applicazioni di combattimenti corpo a corpo.
La pace che caratterizzò questo periodo permise ai samurai il lusso di concentrarsi su una o due aree di combattimento e le mutate priorità portarono al superamento del bujutsu (“arte della guerra”) e alla nascita del budo: le mancate esigenze belliche portarono così alla nascita delle cosiddette “vie marziali” (budo), che preferirono l’armoniosità dei movimenti al crudo combattimento. Mentre il bujutsu cercava di ottenere un risultato efficace, il budo si concentrava maggiormente sulla sfera spirituale, volendo proporsi come mezzo per raggiungere l’autoperfezionamento che avrebbe condotto a uno stato di realizzazione dell’Io. Alcuni budo furono trasformati in discipline sportive (judo, kendo) mentre altri sono diventati una forma di armonizzazione del movimento (aikido).
Dopo la Restaurazione Meiji (1869), con la nascita del judo, si persero molti ryu di Jujutsu. Infatti, mentre alcuni ryu continuarono a mantenere un piccolo dojo, la maggioranza di essi non poteva continuare ad esistere senza il supporto di nuovi studenti. I media giapponesi del tempo propagandarono il judo come la suprema evoluzione del Jujutsu il quale, viceversa, fu descritto come arcaico e poco pratico: il pubblico vide il judo come una ulteriore prova che il Giappone stava diventando una nazione moderna e pronta a prendere un posto di rilievo sulla scena mondiale. Il Jujutsu si affievolì in Giappone ma fu tenuto in vita e praticato dagli immigranti giapponesi in Europa, nel Sud Pacifico, Sud America e Nord America.
Il Jujutsu, grazie ai giapponesi che gli diedero l’opportunità di diffondersi all’estero, oggi è proposto e divulgato nel nostro dojo (Inyokai dojo), con il modello di studio tradizionale “Ju-Jutsu Ricci Ryu” del sensei (maestro) Gino Ricci, presenza attiva nel nostro territorio già dal 1980. Resta un metodo estremamente efficace e pratico di autodifesa oltre che un’arte attraverso la quale esercitare ed approfondire la propria sfera spirituale.
Parte integrante dello studio della scuola sono lo Iaido (estrazione e taglio con la spada), il Bojutsu (bastone di 180 cm) e l’ Hanbojutsu (bastone di 90 cm).